In un mondo del lavoro sempre più esigente e competitivo, fenomeni come lo stress e il mobbing stanno diventando questioni di crescente rilevanza, incidendo non solo sulla salute mentale dei lavoratori ma anche sulle dinamiche legali che regolano i rapporti di lavoro.
La domanda che molti si pongono è se sia possibile prolungare il periodo di malattia in caso di ansia e stress causati da un ambiente lavorativo tossico.
La risposta, come vedremo, è complessa e richiede una disamina attenta delle normative vigenti.
Il riconoscimento della malattia professionale
Il primo passo per chi si trova a soffrire di ansia o stress a causa del proprio ambiente lavorativo è ottenere un certificato medico. Questo documento è fondamentale perché attesta la presenza di una condizione patologica legata direttamente all’ambiente di lavoro.
Senza questo riconoscimento formale, qualsiasi tentativo di prolungare il periodo di malattia incontrerà notevoli ostacoli.
Ansia e stress da lavoro correlato
La diagnosi specifica che spesso viene attribuita in questi casi è quella dell’ansia o dello stress da lavoro correlato. Queste condizioni sono riconosciute come malattie professionali quando possono essere direttamente collegate alle condizioni lavorative del soggetto.
Le regole durante il periodo di malattia
Una volta ottenuto il certificato medico, durante il periodo di malattia, il lavoratore ha l’obbligo legale di restare a casa negli orari previsti per le visite fiscali. Questa disposizione serve a garantire che il periodo di assenza dal lavoro sia effettivamente giustificato da una condizione medica verificabile.
La differenza tra cause personali e ambientali
Un aspetto cruciale nella gestione della malattia professionale legata allo stress o al mobbing è la dimostrazione che queste condizioni non derivino da caratteristiche personali del lavoratore ma siano effettivamente causate dall’ambiente lavorativo stesso. Tale distinzione ha implicazioni significative sul diritto del lavoratore a prolungare la propria assenza dal lavoro oltre i limiti normalmente previsti.
Quando le regole cambiano
Il cosiddetto “periodo di comporto” rappresenta l’arco temporale massimo entro cui un dipendente può essere assente per malattia secondo quanto stabilito dal proprio contratto collettivo nazionale (CCNL).
Tuttavia, se si dimostra che la malattia deriva da comportamenti colpevoli dell’azienda (come nel caso del mobbing), allora i termini usualmente applicabili non valgono più.
Il caso specifico dello stress e mobbing lavorativi
In presenza quindi delle prove che lo stress o l’ansia siano stati provocati dalle condizioni lavorative nocive imposte dal datore di lavoro, si apre la possibilità per il dipendente affetto da tali patologie professionali ad avere diritto a un periodo indeterminato fino alla completa guarigione senza essere vincolati dai limitamenti temporali impostati dal CCNL.
La legge a tutela dei lavoratori
La legislazione vigente prevede esplicitamente questa protezione per i casi in cui le patologie siano direttamente correlate ad azioni od omissioni colpevoli dell’azienda.
Ciò significa che in situazioni dove lo stress o l’ansia sono conseguenze dirette delle pratiche aziendali nocive, i termini usualmente restrittivi non trovano applicazione permettendo al dipendente affetto una tutela maggiore rispetto ai casi generalisti previsti dalla normativa sui periodici comportamentali.